Tempi duri per i giornali e per l’intera carta stampata. Un veterano nella gestione dei media del calibro di Alan Mutter, che è forse il più perspicace osservatore del settore, ne ha pronosticato la fine, attraverso una serie di dati statistici particolarmente deprimenti. Ad esempio, egli ci informa che durante lo scorso anno: Le entrate dei giornali sono scese al loro livello più basso dal 1984: anche se aggiornato sulla base dell’ inflazione, i ricavi attuali sono la metà di quanto i giornali ricavavano allora.
La somma complessiva delle entrate pubblicitarie di tutti i quotidiani americani nel 2011 raggiungeva a malapena i due terzi dei ricavi registrati dal solo Google. Questi tassi di calo sono continuate ad aumentare nel corso del quarto trimestre 2011, lasciando intuire come non solo tale declino non sia finito, ma che il peggio deve ancora arrivare.Le entrate digitali, un tempo speranza per la ripresa economica del settore, sono cresciute solo del 6.8%, durante il 2011, il che non è nemmeno lontanamente sufficiente per compensare le perdite pubblicitarie globali. Per conservare ciò che resta dei loro profitti in rapido esaurimento, la risposta globale è stata quella di ridurre il livello del personale e lo stesso formato dei giornali (così come lo spazio che rimane per l’ informazione escluse tutte le inserzioni) e, in alcuni casi, di non uscire in edicola in determinati giorni. I maggiori giornali americani dispongono di apparati di risorse umane che si attestano sul 50-70% di ciò che erano solo fino a pochi anni fa. Il Los Angeles Times, che è già stato devastato da tagli dell’organico, ha annunciato l’ ennesimo giro di licenziamenti giusto questa settimana. Come risultato di tali iniziative, osserva Mutter, i giornali non stanno investendo nello sviluppo di prodotti e servizi che potrebbero consentir loro di competere con il numero crescente di concorrenti digitali che spasimano dietro agli investimenti di pubblicità locale. Il risultato di ciò è un ulteriore danneggiamento del valore della carta stampata, anche ben oltre il deterioramento assolutamente allarmante che già si è visto. Lo scorso anno, il calo delle azioni dei giornali quotati in Borsa è stato pari a un terribile 27%. La Tribune Company è in bancarotta dopo aver dissipato il valore non solo dei giornali di Chicago, sua città natale, ma anche del Los Angeles Times e altri. La Gannett, ha dovuto licenziare più di 20.000 lavoratori dal 2005 a oggi e aver visto il titolo colare a picco, con un deprezzamento dell’86 per cento che ha significato il passaggio, per azione, da un valore di 72 $ a poco più di 10 $. Sulla stessa linea, la New York Times Company, i cui profitti sono scesi del 12,2% nel quarto trimestre del 2011 sotto la spinta di enormi perdite e sostanziosi tagli del personale operati negli ultimi anni.
Ma allora, quale sarà il peso politico di questo nuovo scenario del mondo dell’informazione? Beh, il potere ama i vuoti e il vuoto lasciato dalla contrazione dei giornali, un tempo strumenti preferiti dalla gente per informarsi, viene colmato da aziende che riciclano notizie pescate altrove, principalmente su Google, Facebook, e così via. Con la visibilità ottenuta, queste società continuano ad intercettare gli investimenti pubblicitari che un tempo
sostenevano l’ industria della carta stampata. Cinque aziende raccolgono quasi il 70 per cento di tutte le entrate pubblicitarie online dello scorso anno. (fonte : Lsdi.it)